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La veglia.

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La stanza era stretta e angusta. All'occhio infantile che la stava osservando l'aggettivo giusto sembrava troppo piena. La bambina venne poi portata nella stanza affianco e fatta sedere sul divano.
Tremava. Si guardava intorno, circospetta, osservando il tavolo circolare e le gocce d'acqua che, condensate, scivolavano giù dalla bottiglia. Mi sedetti non vista accanto a lei e poggiai la mano sopra il suo ginocchio. La piccola rabbrividì e sotto il vestitino vidi la sua pelle ergersi a difesa. Spalancò i suoi grandi e sperduti occhi neri e li piantò nei miei. Rimase così per qualche secondo, con gli occhi a contemplare l'aria mentre la sua pelle tornava a rilassarsi come un lenzuolo ben disteso.
Mi alzai con calma, con la schiena cigolante e i capelli spettinati e mi avvicinai alla cucina. Presi una tazzina, un piattino e mi versai del caffè tiepido. Mentre lo sorseggiavo, con il mignolo della destra sollevato, osservavo la nuova arrivata accolta da un fastidioso, clericale mormorio e con un'impercettibile interruzione degli Ave Maria e dell'Eterno Riposo. La donna aveva dei capelli corti ripiegati su un ciuffo volto a darle una parvenza di giovinezza e, come ogni donna povera improvvisamente ritrovatasi con in mano un'esosa somma di denaro, aveva scelto di sperperarlo in monili inutili tanto quanto vistosi e in una pelliccia violetta così come il suo ombretto e il suo rossetto. Davanti allo specchio del bagno di casa sua si era disegnata con accuratezza un neo finto, sperduto tra le guance ripiene di fard e appena ricoperte da un sottile strato di sudore. Salutò in maniera composta e dignitosa e, nonostante i sussurri e i mormorii che le stavano appiccicati addosso, andò dalla vedova a porgere le sue condoglianze. Si guardarono e, nell'attimo di due sorsi di caffè, colsi tra loro un passato comune e un tacito accordo, quello che talvolta lega la moglie e l'amante di sempre di un marito e di un uomo imperfetto.
La mia attenzione tornò a concentrarsi sulla bambina, le cui mani cercavano di strangolarsi a vicenda mentre le sue labbra mormoravano qualcosa, nella solitudine di quel divano in cui sprofondava abbracciata da cuscini e vitree bambole di porcellana.
Mi infilai nel poco spazio disponibile e, aspirando il fumo che veniva dalla stanza accanto, mi sedetti ancora una volta accanto a lei.
"Uno, due, tre, quattro, cinque, sei. Ci sono sei anziane dentro. E uno, due, tre, quattro, cinque uomini. E mia madre. E uno, due, tre, quattro dei miei cugini. E una, due, tre, quattro donne. Sono in venti. Il venti si può dividere per due, per quattro, per cinque e per dieci".
Guardai nella stanza in cui si stava tenendo la veglia funebre e cominciai a contare con lei e a ricalcare la sua litania. C'erano davvero venti persone lì dentro, anche se le loro fattezze erano annebbiate dal fumo delle sigarette e dal rantolo delle donne che, chissà come e perché, sembravano avere lacrime per ogni creatura del loro quartiere che lasciava moglie, figli, amanti e debiti dietro di sé. I figli si ergevano austeri e contriti, ma virilmente non versavano una lacrima cercando di confortare le proprie consorti. Moglie e amante stringevano i bordi della bara aperta, rincorrendo le preghiere che avrebbero dovuto raccomandare la sua anima al signore.
"Uno, due, tre, quattro, cinque, sei. Ci sono sei anziane dentro. E uno, due, tre, quattro, cinque uomini. E mia madre. E uno, due, tre, quattro dei miei cugini. E una, due, tre..."
"Piccola, vuoi entrare a salutare il nonno?"
"...quattro donne. Sono in venti. Il venti si può dividere per due, per quattro, per cinque e per dieci".
Si alzò ed entrò, con passo malfermo. Toccò il legno con la punta delle dita e avvicinò il viso per sentirne l'odore finché qualcuno tra gli uno, due, tre, quattro, cinque uomini non la sollevò in modo che vedesse anche lei quello che avevo fatto. Avvicinò la sua piccola mano al viso freddo del nonno e gli toccò il naso, ritraendola subito dopo. Gli avevano messo il vestito buono, l'unico. Una donna era arrivata all'alba per stirare i pantaloni, la camicia e la giacca, ma non erano riusciti a trovare la sua cravatta. La piccola notò con un certo stupore il modo certosino e scrupoloso con cui qualche anima pia si era premurata di incastrare il rosario tra le dita rigide del nonno.
Scalciò per essere rimessa giù e, al centesimo Eterno Riposo dona a loro o Signore-splenda per essi la luce perpetua,  ecco che lo disse e io la sentii distintamente.
"Non credo che lui meriti il Paradiso", disse.
"Eterno Riposo dona a loro o Signore..."
"Non credo che lui meriti il Paradiso!"
"...splenda per essi la luce perpetua".
Lo ripeteva e lo ripeteva, nell'indifferenza generale e, ogni volta che la sua bocca, lingua, laringe articolavano quelle sette parole, ecco che il volume delle preghiere dentro la stanza aumentava e aumentava, sino a diventare un urlo assordante.
Mi trovavo sullo stipite della porta ad osservarli quando, guardando l'orologio, capii di dovermene andare. Tornai in cucina e stappai una bottiglia di Fil'e Ferru, uno dei motivi per cui andavo in Sardegna così volentieri, e la portai con me fuori dalla casa.
"Tra poco il sole sarà alto", pensai. E ognuno sarebbe stato di nuovo solo.
Pezzo scritto per il contest di Arte Scritta "Quando il sole sarà alto". Incredibilmente sono addirittura in anticipo.
© 2012 - 2024 EvaVsEva
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VendemiaireWings's avatar
Penso che tutti i bei testi contengano un momento come questo della conta nel tuo.